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Il bluff degli animali e degli insetti – parte 1^

Anche gli animali simulano. Fanno gli attori per ingannare predatori e intrusi. E per ottenere un vantaggio riproduttivo. Perché il bluff, un gioco?  No, un risultato raffinato dell’evoluzione

Un interessantissimo articolo di Marco Aversano, anche se datato, sempre attuale.

L’articolo è  lungo in quanto  evidenzia i vari aspetti della simulazione in modo esaustivo, e per questo verrà diviso in più parti.

Premetto che l’ultima parte non parlerà degli insetti ma verrà pubblicata ugualmente per chiudere correttamente l’articolo.

Buona lettura

Tutto sommato, chiedersi se gli animali simulano è come chiedersi se gli animali pensano: entrambi gli interrogativi suggeriscono un paragone con noi esseri umani per quanto riguarda due attività altamente complesse.

Ora, mentre non si hanno difficoltà ad immaginare che gli animali possano produrre una qualche forma di attività di ragionamento, più o meno elaborata in funzione della complessità della specie, bisogna ammettere che cercare nel mondo animale qualcosa di simile a ciò che intendiamo per simulazione può sembrare eccessivo.

Se infatti il pensiero, in sé e per sé, si può considerare una forma di comprensione della realtà fisica oggettiva alla portata anche di un animale non eccessivamente complesso – si pensi, ad esempio, all’abilità dei ratti nel risolvere dei labirinti – la simulazione implica qualche cosa in più.

Simulare comporta infatti una certa discriminazione tra realtà e finzione ed una manipolazione finalizzata di quest’ultima. Facoltà che potrebbero sembrare oltre la portata dell’intelligenza animale, ma questo non è vero: gli animali, in certe circostanze simulano benissimo!

Ma cosa si intende esattamente per simulazione?

Il Vocabolario Zingarelli della Lingua Italiana (1988) riporta come primo significato della parola simulare il “fingere, far parere che ci sia qualcosa che in realtà non c’è”, e come ulteriore definizione in senso tecnologico il “riprodurre qualcosa artificialmente in modo che sembri vero”.

E’ subito evidente che simulare consiste nel comprendere e gestire la differenza tra la realtà ed una sua rappresentazione. Il comportamento animale talvolta assume effettivamente le caratteristiche della simulazione, precisamente quando un individuo si comporta in modo da trarre in inganno un conspecifico o un individuo di una specie diversa (per esempio un predatore).

In questo senso, in psicologia comparata e in etologia il termine più consueto è “inganno” (deception), che implica l’indurre in errore altri individui, volontariamente o involontariamente. Il punto nodale dell’interazione tra simulazione e inganno negli animali sta proprio nella produzione di informazioni non reali indirizzata ad un individuo affinché quest’ultimo fraintenda la realtà ed attui un comportamento di risposta inadeguato.

Posta in questi termini, la simulazione come inganno diventa un aspetto della comunicazione animale, che si può definire come un messaggio “disonesto” inviato da un emittente allo scopo di indurre un ricevente ad emettere a favore del primo un comportamento che, altrimenti, non avrebbe emesso.

Come vedremo tra poco, molte specie animali riescono a manipolare la percezione della realtà di altri individui, in modo che questi scambino la rappresentazione per la realtà e siano perciò indotti in errore. Ci si potrebbe chiedere quale livello di consapevolezza e intenzionalità sia indispensabile per prestazioni del genere ma, come vedremo, questi due concetti estremamente antropomorfici non sono indispensabili per analizzare la simulazione nel mondo animale.

Per semplificare, possiamo distinguere due forme di simulazione sviluppate nel corso dell’evoluzione: una prima forma, relativamente più semplice, consiste in rigidi adattamenti morfologici in una specie animale che o ne riducono la visibilità nel proprio ambiente, oppure ne falsano il riconoscimento da parte di un predatore.

La rigidità di questa forma di simulazione consiste nell’impossibilità, da parte del simulatore, di fare alcunché di diverso da ciò che gli è consentito dal bagaglio genetico responsabile del suo aspetto morfologico.

La seconda forma invece, più sottile e intrigante, non necessita di nessun camuffamento percettivo e di nessuna specializzazione morfologica per ingannare il ricevente: l’informazione “disonesta” è tutta contenuta nella sequenza comportamentale con cui l’emittente comunica uno stato di cose diverso dalla realtà ma verosimile, in modo da ottenere dal ricevente una serie di comportamenti inadeguati al contesto.

Evidentemente, la simulazione comportamentale richiede una serie ordinata ed organizzata comportamenti, che risulta dalla ricombinazione ad hoc di atti e posture che l’emittente produrrebbe in un contesto differente e per motivi differenti dal trarre in inganno il ricevente.

Simulazione morfologica: il mimetismo

Biston Betularia

Un esempio eclatante di simulazione morfologica è il mimetismo, ovvero la somiglianza per forme e colori con l’ambiente naturale oppure con altre specie mediante la quale certi animali, soprattutto insetti, riescono a non essere scoperti dai predatori.

Ad esempio, le farfalle della specie Biston betularia possiedono una duplice colorazione criptica (una forma melanica ed una sale e pepe) che le rende indistinguibili dal sostrato su cui si posano, e cioè la corteccia di betulla.

Nei suoi studi sul melanismo industriale di B. betularia, H. Kettlewell (1955) ha dimostrato che questi insetti scelgono attivamente il sito dove posarsi, poiché la forma melanica predilige le betulle con corteccia iscurita dall’inquinamento ambientale, mentre la forma sale e pepe si mimetizza meglio tra i licheni sui tronchi di betulle non inquinati.

Tuttavia se viene cambiata sperimentalmente l’efficacia della colorazione criptica della farfalla, ad esempio spostando una forma di B. betularia su sostrato tipico dell’altra e viceversa, la colorazione criptica perde la sua efficacia e gli uccelli insettivori localizzano facilmente le farfalle divenute evidenti.

Esperimenti di laboratorio condotti sulle ghiandaie americane (Cyanocitta cristata, Pietrewicz & Kamil, 1977) hanno dimostrato l’estrema difficoltà di questi uccelli nel localizzare farfalle criptiche quando gli insetti erano orientati in modo naturale rispetto al sostrato; ma se l’orientamento dell’insetto veniva cambiato, oppure se l’insetto era posto su uno sfondo non naturale, la probabilità di cattura da parte degli uccelli cresceva notevolmente.  …  Continua domani


Al prossimo articolo.

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Pubblicato da Gianluca Doremi

Durante la mia infanzia ho sviluppato e manifestato la passione per il "piccolo mondo" che mi ha portato alla scoperta della natura con l'entusiasmo che solo un bambino può avere. Con l'età adulta ho alimentato ulteriormente questa mia passione implementandola con l'ausilio della fotografia e dei video. Alle immagini ora ho aggiunto lo studio e la ricerca su questo fantastico mondo.

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