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Il bruco mangia plastica

Il bruco della falena Galleria mellonella, la comune camola del miele, è in grado di degradare il polietilene, il più diffuso tipo di plastica e anche uno dei più difficili da smaltire. Per digerire la cera d’api di cui si nutre normalmente, l’insetto ha infatti evoluto la capacità di rompere legami chimici simili a quelli presenti nel polietilene.

Ad aprile del 2017 sono stati pubblicati i risultati della ricerca della capacità del bruco di Galleria mellonella di degradare il polietilene.

Una scoperta avvenuta per caso ma dall’importanza notevole.

In quel periodo la notizia era inflazionata  e non mi sembrava il caso di propagandarla  ulteriormente, visto che la sua divulgazione era notevole.

Ora che è quasi passato un anno mi sembra giusto riproporla, magari inserendo un po’ di gossip sull’autrice della scoperta 🙂 .

La base dell’articolo è tratto da “Le Scienze”

Un bruco piuttosto comune è in grado di biodegradare il polietilene, o PE, una delle plastiche più resistenti e più diffuse. La scoperta – che potrebbe contribuire significativamente a risolvere problema dello smaltimento della plastica – è di un gruppo di ricercatori dell’Università della Cantabria a Santander, in Spagna, e dell’Università di Cambridge, in Gran Bretagna, che firmano un articolo su “Current Biology”.

Il bruco in questione è la larva della farfalla Galleria mellonella, ben nota a pescatori che la usano come esca, con il nome di camola del miele o tarma maggiore della cera.
La scoperta è avvenuta quasi per caso, quando i ricercatori hanno notato che i sacchetti di plastica che contenevano le larve erano costellati di fori: il 13 per cento della massa della plastica era stata divorata dall’insetto nel giro di 14 ore.

La sorpresa è arrivata quando hanno controllato se l’insetto ingeriva la plastica oppure riusciva a biodegradarla, scoprendo che il polietilene veniva trasformavano chimicamente in glicole etilenico, un composto organico molto usato come anticongelante.

Secondo i ricercatori, questa capacità è un sottoprodotto delle abitudini alimentari dell’insetto.

Galleria mellonella - © Gianluca Doremi
Galleria mellonella – © Gianluca Doremi

G. mellonella depone le uova all’interno degli alveari, dove le larve crescono sulla cera d’api, una complessa miscela di composti lipidici. Anche se in condizioni normali la larva non mangia la plastica, in caso di bisogno riesce ad adattarsi, molto probabilmente perché la digestione della cera d’api e del PE richiede la rottura di legami chimici dello stesso tipo.

La definizione dei dettagli molecolari della capacità di G. mellonella di digerire il polietilene richiede ulteriori  studi, dato che al momento non è chiaro se sia dovuta direttamente al suo organismo o all’attività enzimatica della sua flora batterica.

Lo scorso anno era stato identificato un batterio, Ideonella sakaiensis, che è in grado di biodegradare, anche se piuttosto lentamente, un’altra plastica, il polietilene tereftalato (PET), ma la degradazione biologica del PE era finora ritenuta una possibilità molto remota.

Solo recentemente è stata osservata una degradazione, ma molto lenta e inefficiente, del polietilene da parte di un fungo e di un batterio intestinale di un’altra larva, Plodia interpunctella.

I ricercatori sperano che, grazie all’efficienza ben superiore di G. mellonella, sia possibile giungere a una soluzione biotecnologica della gestione dei rifiuti di polietilene.

Una cosa che pochi ricordano è che la scoperta è stata effettuata da una ricercatrice italiana che lavora al CNR di  Santander (Federica Bertocchini), che, come altri componenti italiani dell’equipe, fa parte di quei cervelli in fuga che l’Italia lascia andare.

La scoperta è dovuta da una casualità, Federica Bertocchini,  appassionata apicultrice , ha trovato  un alveare pieno di bruchi di G. mellonella. Era in ritardo, e doveva andare al lavoro. Per non ritrovarsi la casa infestata dalle larve le ha prese e rinchiuse in una busta della spesa. Ma al suo ritorno le larve avevano forato il sacchetto, mangiandolo. Era il 2012 ed in quel momento è iniziata la ricerca.

A onor del vero il contratto a tempo determinato della ricercatrice era quasi a termine (aprile 2017) nel momento della pubblicazione della ricerca,  e per fortuna questa scoperta la aiutata a mantenere, almeno per il momento la sua scrivania (ndr. settembre 2017).

 

Al prossimo articolo.

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Farfalle e falene della pianura Friulano-Veneta

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Pubblicato da Gianluca Doremi

Durante la mia infanzia ho sviluppato e manifestato la passione per il "piccolo mondo" che mi ha portato alla scoperta della natura con l'entusiasmo che solo un bambino può avere. Con l'età adulta ho alimentato ulteriormente questa mia passione implementandola con l'ausilio della fotografia e dei video. Alle immagini ora ho aggiunto lo studio e la ricerca su questo fantastico mondo.

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