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Il curioso caso dei bruchi senza microbioma

L’apparato digerente di alcuni insetti (bruchi in questo caso) – e forse anche di alcuni vertebrati – è privo della flora intestinale che normalmente degrada gli alimenti. Forse nel loro lontano passato evolutivo questi animali hanno “rubato” ai batteri i geni che permettono di svolgere quel compito

Anche oggi propongo un articolo non scritto direttamente da me , infatti è tratto dalla rivista online “Le Scienze” e parla di un’interessante caratteristica dei bruchi, ma anche di altri animali, buona lettura.

Molti animali, compresi gli esseri umani, non possono vivere una vita sana senzamicrobi nel loro intestino. Questi ospiti intestinali degradano il cibo e aiutano a combattere i microrganismi che causano malattie.

Ma una recente ricerca suggerisce che alcune specie, tra cui i bruchi, possono farne a meno. Forse – dicono gli scienziati che hanno studiato questi batteri, funghi e altri microbi simbiotici – i microbiomi intestinali sono meno onnipresenti di quanto si pensa.

Tobin Hammer, docente di ecologia e biologia evoluzionistica all’Università del Colorado a Boulder, ha studiato i microbi intestinali di 124 specie di bruchi selvatici americani che si nutrono di foglie, sequenziando un gene comunemente usato per identificare i diversi microrganismi.

In un preprint inviato a bioRxiv, Hammer e il suo team riferiscono di non aver trovato alcun segno di cosiddetti microbi “residenti”, ossia di organismi che si sono coevoluti insieme ai loro ospiti.

L’articolo

è l’ultimo di un piccolo ma crescente numero di studi che non hanno trovato microbiomi intestinali in varie specie di animali e insetti. I ricercatori hanno avuto qualche difficoltà a pubblicare quelle ricerche, probabilmente perché è difficile dimostrare un esito negativo, dice Hammer.

bruchi
Caterpillar of Tobacco budworm on a leaf USA

L’idea convenzionale è che gli erbivori, come le mucche, hanno bisogno di microbi intestinali per degradare le fibre delle pareti cellulari vegetali. Poiché tutti i bruchi che Hammer ha studiato mangiavano foglie, pensava che avessero un microbioma diversificato e complesso.

“Ma è importante ricordarsi che i bruchi non sono mini-mucche”, dice Hammer. Quando gli scienziati esaminano il materiale fecale dei grandi erbivori, trovano molto più DNA microbico che DNA vegetale. Ma con i bruchi, sembra vero l’opposto.

I pochi batteri e virus trovati da Hammer sembravano provenire dall’ambiente e dal cibo degli insetti.

L’ecologista ha anche controllato se alcuni dei microbi intestinali dei suoi bruchi aiutassero in qualche modo gli insetti a sopravvivere. Ha allevato 72 larve di sfinge del tabacco (Manduca sexta), un comune lepidottero nordamericano, somministrando ai bruchi vari livelli di antibiotici destinati a eliminare i microrganismi intestinali. Il trattamento non ha avuto alcun impatto sulla salute o sulla sopravvivenza della sfinge.

 

Implicazioni enormi

Già studi precedenti avevano indicato che i bruchi non hanno microbiomi, dice Melissa Whitaker, ecologista che studia i rapporti tra bruchi e batteri all’Università di Harvard a Cambridge, Massachusetts. Ma quegli studi avevano riguardato solo poche specie; lo studio di Hammer ne ha esaminate più di 100. E nelle ricerche precedenti mancavano dati sperimentali sugli effetti della presenza o assenza di quei microbi. Considerati tutti i risultati, Whitaker pensa che le implicazioni del lavoro di Hammer siano enormi.

“Si tratta di uno dei più grandi gruppi di erbivori”, dice Whitaker: un progetto dell’University College di Londra stima che le specie note di bruchi siano circa 180.000. “Se non ricorrono all’aiuto dei batteri intestinali per la loro dieta, a cosa si affidano?”, osserva Whitaker. “Dev’essere qualcosa di completamente diverso. È affascinante”.

Whitaker pensa che i risultati di Hammer possano essere più comuni di quelli documentati finora. “Penso che ci sia un certo bias di selezione”, dice. I ricercatori, cioè, potrebbero essere riluttanti a presentare risultati negativi, e le riviste altrettanto riluttanti a pubblicarli.

Il curioso caso dei bruchi senza microbioma
Bruco di Danaus plexippus (Mint Images / AGF)

È una storia che la Whitaker conosce bene: quando aveva iniziato a cercare i batteri nell’intestino di alcuni lepidotteri, era convinta che ci fosse qualcosa di sbagliato nei suoi dati o nei suoi metodi. Alla fine, tuttavia, emerse chiaramente che non c’erano simbionti intestinali da trovare.

Le eccezioni

Altri scienziati hanno avuto esperienze simili. Jon Sanders, specializzando all’Università della California a San Diego, studia la coevoluzione dei microbi e dei loro ospiti.

In uno studio sulle formiche peruviane, Sanders ha scoperto che alcune specie terricole sembrano mancare completamente di un microbioma intestinale. Il suo articolo è rimasto in fase di valutazione per un anno e mezzo prima di essere respinto. Alla fine Sanders lo ha pubblicato su bioRxiv3 e ora è in corso di valutazione per la pubblicazione sulla rivista “Integrative and Comparative Biology”.

L’entomologo Matan Shelomi, affiliato all’Istituto Max Planck per l’ecologia chimica di Jena, in Germania, ha studiato per anni i microbiomi intestinali degli insetti erbivori dell’ordine dei fasmidi (Phasmatodea), scoprendo che non c’erano batteri. Più tardi ha trovato delle prove che i fasmidi potevano degradare la pectina, un’altra fibra presente nelle pareti di cellule vegetali, usando geni rubati ai batteri agli inizi della storia evolutiva degli insetti. Shelomi alla fine ha pubblicato i suoi risultati, ma “c’è voluto molto lavoro e molte discussioni nel corso del processo di valutazione”, dice.

È possibile che anche alcuni vertebrati non abbiano di microbiomi intestinali. “Ho sentito anche di ricercatori che hanno problemi simili con uccelli e pesci”, dice Hammer. Il suo studio ha incluso i dati relativi diverse specie di vertebrati come controlli. Alcuni, come le capre, hanno un microbioma intestinale. Ma quando Hammer ha cercato i microbi intestinali nelle feci di oche e pipistrelli, non ha trovato niente.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 13 maggio 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

 

Al prossimo articolo.

 

Pubblicato da Gianluca Doremi

Durante la mia infanzia ho sviluppato e manifestato la passione per il "piccolo mondo" che mi ha portato alla scoperta della natura con l'entusiasmo che solo un bambino può avere. Con l'età adulta ho alimentato ulteriormente questa mia passione implementandola con l'ausilio della fotografia e dei video. Alle immagini ora ho aggiunto lo studio e la ricerca su questo fantastico mondo.

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