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L’elusivo calcolo dell’altruismo e la selezione parentale – parte 1

Il modo in cui può essersi evoluto il comportamento cooperativo di formiche, api e altri insetti continua a sfidare l’analisi formale. Ma una nuova teoria – che include la diversificazione dei rischi di fronte all’imprevedibilità della natura – può aiutare a cambiare gli strumenti matematici usati per analizzare il fenomeno e far progredire le conoscenze

di Jordana Cepelewicz / Quanta

Un lungo articolo pubblicato su “Le scienze” di cui vi propongo la prima parte sull’altruismo e sulla selezione parentale.

Nel 1964, il biologo evoluzionista William D. Hamilton aveva spiegato uno dei più grandi paradossi della biologia con una semplice equazione matematica. Un secolo prima, in L’origine delle specie, Charles Darwin aveva definito il problema di “una difficoltà speciale”, tanto da farlo dubitare della sua stessa teoria.

Il paradosso in questione è il comportamento altruistico mostrato dagli insetti sociali. Formiche, termiti e alcune api e vespe vivono in colonie altamente organizzate in cui la maggior parte degli individui è sterile o rinuncia alla riproduzione per mettersi al servizio di pochi selezionati individui che depongono le uova. Eppure questo comportamento sembrava violare chiaramente il concetto di selezione naturale e di sopravvivenza del più adatto, se per “più adatto” si intende l’individuo con il maggior successo riproduttivo. L’altruismo obbligato degli insetti – una forma di comportamento sociale estremo chiamato eusocialità – aveva poco senso.

a colony of brown ants carrying and storing eggs
© age fotostock / AGF

La situazione cambiò quando Hamilton presentò la sua equazione e formalizzò la teoria nota come selezione parentale, secondo cui potrebbe valere la pena generare meno figli propri se la cooperazione permette di aumentare la prole dei parenti che condividono alcuni dei propri geni. (Al biochimico J.B.S. Haldane, pioniere di questa teoria negli anni trenta, viene spesso attribuita la battuta: “Sarei felice di dare la mia vita per due fratelli o otto cugini”).

L’elegante formulazione di Hamilton di questa intuizione bilanciava i costi (c) che un individuo sostiene aiutando un altro con i benefici (b) che l’altro riceve, ponderati dalla relazione di parentela fra i due (r). Conosciuta come regola di Hamilton, afferma che quando rb c, nella popolazione si diffonderà un gene responsabile per

la promozione di un comportamento sociale. La regola divenne la pietra angolare della “teoria della fitness inclusiva”, in cui la fitness può essere calcolata come una metrica del successo genetico basato sulla misura della relazione di parentela.

Hamilton non immaginava che la sua regola sarebbe finita anche al centro di un esplosivo dibattito tra i teorici che studiano il comportamento sociale. Quando Hamilton la presentò, ne dimostrò la cogenza mostrando che prevedeva il comportamento delle formiche, api e vespe dell’ordine degli imenotteri, che sono predisposti all’eusocialità dalla loro strana genetica.

Gli imenotteri hanno un insolito sistema “aplodiploide” per determinare il sesso degli individui: gli ovuli non fecondati diventano maschi e gli ovuli fecondati femmine. Una conseguenza di questa strutturazione genetica è che le sorelle germane condividono in media tutti i geni del padre e metà di quelli della madre. Il valore r tra sorelle è quindi ¾, mentre il valore r della prole rispetto alla madre è solo ½. Hamilton sottolineò che per una formica operaia aveva quindi evolutivamente più senso trasmettere i propri geni aiutando la madre a produrre più sorelle anziché riprodursi direttamente.

Gli imenotteri sono stati per anni l’esempio da manuale della potenza della selezione parentale, e molti biologi l’hanno abbracciata.

Ma c’erano dei problemi. Anche se l’ipotesi aplodiploide è ancora associata allo studio dei comportamenti sociali evoluti, ha perso molto del favore degli esperti a partire dal 1976, quando Robert Trivers e Hope Hare mostrarono i rapporti di parentela dei maschi. Mentre le femmine aplodiploidi sono più strettamente legate alle sorelle piuttosto che alla propria progenie, condividono comunque ancora più geni con la propria progenie che con i propri fratelli (rispetto ai quali r è ¼). L’onere evolutivo di allevare fratelli di basso valore avrebbe quindi compensato i vantaggi di allevare sorelle di alto valore.

La teoria è incorsa in un problema ancora peggiore con le termiti e altre specie sociali che non appartengono all’ordine degli imenotteri, poiché queste non sono aplodiploidi. L’aplodiploidia non può essere la forza motrice dell’evoluzione dell’eusocialità di questi insetti.

La perdita di appeal dell’ipotesi ha creato la prima crepa di quella che è diventata una gigantesca frattura nel pensiero degli scienziati in merito alla teoria della fitness inclusiva e alla regola di Hamilton. Poiché la selezione parentale è ancora la teoria dominante nel settore, molti biologi continuano a basare il loro lavoro sulle quelle idee. Altri, invece, sostengono metodi che non sono affatto ispirati a quel quadro concettuale. Il dibattito tra le due fazioni è stato spesso al vetriolo, e ciascuna di esse ha definito l’altra “fideistica” per la riluttanza a cambiare posizione.

Uno degli ultimi contributi alla ricerca in questo campo, pubblicato il mese scorso su “Nature”, offre un nuovo approccio che prende in considerazione gli effetti sulle strategie evolutive della fondamentale imprevedibilità della natura. Esso affronta anche alcune delle questioni alla radice del disaccordo tra i teorici dell’evoluzione – un disaccordo che ha subito molti mutamenti da quando Hamilton propose la sua formula.

Domani il seguito

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2018 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)


Al prossimo articolo.

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Farfalle e falene della pianura Friulano-Veneta


Pubblicato da Gianluca Doremi

Durante la mia infanzia ho sviluppato e manifestato la passione per il "piccolo mondo" che mi ha portato alla scoperta della natura con l'entusiasmo che solo un bambino può avere. Con l'età adulta ho alimentato ulteriormente questa mia passione implementandola con l'ausilio della fotografia e dei video. Alle immagini ora ho aggiunto lo studio e la ricerca su questo fantastico mondo.

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