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Ma come fa il ragno saltatore a calcolare la distanza?

Uno studio pubblicato su Science spiega come il ragno saltatore valuti la lontananza dalla sua preda prima di saltare.

Lo studio effettuato sulla specie di ragno Hasarius adansoni dimostra che gli appartenenti a questa specie sembrano aver sviluppato un modo tutto loro di misurare la distanza dalle prede.

Il  sistema utilizzato per valutare la profondità ricorda molto l’effetto che si ha quando si guarda una fotografia con lo sfondo fuori fuoco.

Secondo una ricerca della Osaka City University pubblicata su Science infatti, questi aracnidi usano una tecnica chiamata image defocus.

Questa tecnica che consiste nel confrontare un’immagine sfocata dell’ambiente con una perfettamente a fuoco.

Gli occhi principali  (i più grandi e normalmente frontali) dei  ragni saltatori hanno un’unica retina  con quattro strati fotorecettori graduati.

Su ciascuno di questi strati le diverse lunghezza d’onda della luce sono focalizzate da una lente  e diversificati da un’apprezzabile aberrazione cromatica.

In particolare, dei due strati più profondi, che sono gli unici a captare il verde, solo quello più interno mette a fuoco correttamente.

Questa discrepanza indica che il secondo strato più profondo riceve sempre immagini sfocate, che contengono informazioni di profondità della scena in teoria ottica.

Hasarius adansoni - Gianluca Doremi - saltator
Hasarius adansoni – Gianluca Doremi

Lo sfocato  e la profondità

Esperimenti comportamentali hanno rivelato che la percezione della profondità del  ragno risente della lunghezza d’onda della luce illuminante, che va ad influire  sulla quantità di sfocatura nelle immagini risultanti dal confronto dell’aberrazione cromatica.

Praticamente, sulla base delle leggi dell’ottica, i ricercatori si aspettavano che negli ambienti con la luce rossa il ragno saltatore i avrebbe sottostimato la distanza dalla preda, facendo salti troppo corti.

Negli ambienti a luce verde, invece, i ragni avrebbero dovuto compiere salti della giusta lunghezza, catturando le loro prede.

Gli esperimenti effettuati hanno verificato questa ipotesi a prescindere dalla luminosità dell’ambiente, dimostrando dunque che è proprio la messa a fuoco a dare la profondità ed eliminando ogni dubbio che questa potesse dipendere dall’intensità della luce negli ambienti.

Articolo originale: Link

Pubblicato da Gianluca Doremi

Durante la mia infanzia ho sviluppato e manifestato la passione per il "piccolo mondo" che mi ha portato alla scoperta della natura con l'entusiasmo che solo un bambino può avere. Con l'età adulta ho alimentato ulteriormente questa mia passione implementandola con l'ausilio della fotografia e dei video. Alle immagini ora ho aggiunto lo studio e la ricerca su questo fantastico mondo.

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