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Il bluff degli animali e degli insetti – 3^ ed ultima parte

Anche gli animali simulano. Fanno gli attori per ingannare predatori e intrusi. E per ottenere un vantaggio riproduttivo. Perché il bluff, un gioco?  No, un risultato raffinato dell’evoluzione.

Terza ed ultima parte dell’articolo di Marco Aversano.

animali

Esiste poi una serie di studi su una condotta tipica delle femmine di alcuni mammiferi definita pseudoestro, ovvero il riprodurre segnali comportamentali tipici dell’estro da parte di femmine già gravide, e quindi impossibilitate a concepire di nuovo. Lo pseudoestro si presenta, ad esempio, nelle femmine di entello dell’India (Presbytis entellus). In questa specie di primati esiste una ferrea gerarchia sociale, che consente soltanto al maschio dominante di accoppiarsi con le femmine del gruppo e quindi riprodursi. Perciò, quando il maschio alfa viene spodestato da un rivale, e se i suoi piccoli non hanno raggiunto la maturità, capita frequentemente che il nuovo maschio dominante uccida i figli dello sconfitto.

Probabilmente questo comportamento infanticida serve ad assicurare il massimo successo riproduttivo all’individuo dominante. In queste circostanze gli entelli femmina, pur essendo ai primi stadi della gravidanza, possono simulare lo stato di estro e sollecitare il nuovo dominante all’accoppiamento, sebbene non stiano ovulando e non possano perciò mettere al mondo figli del capobranco: è stata avanzata l’ipotesi che gli entelli femmina ingannino attivamente il partner allo scopo di fargli accettare un prole non sua e risparmiarla dal sacrificio (Hrdy, 1977).

Allo stesso modo, è stato osservato che quando una femmina gravida di arvicola terrestre (Arvicola terrestris) si sposta nel territorio di un maschio con cui non si è accoppiata, essa riprende un finto ciclo ovarico e si accoppia ancora con il secondo maschio. La femmina mette così al mondo dei piccoli che, ovviamente, non possono essere che del maschio precedente (Jeppsson, 1986). Quindi, in generale, le femmine di entello e di arvicola simulano le uniche informazioni che i maschi (di queste come di ogni altra specie) possono utilizzare per stabilire la paternità dei piccoli di cui dovranno occuparsi: appunto, informazioni comportamentali, poiché essi non dispongono di alcun metodo più diretto per controllare l’origine della propria prole.

Una recente serie di esperimenti (Ristau, 1991) è stata condotta sui pivieri americani (Charadrius melodus e C. semipalmatus) allo scopo di analizzare in dettaglio il grado di flessibilità (o di intelligenza?) raggiungibile dalla simulazione animale, in modo da evitare spiegazioni antropomorfistiche o strettamente parsimoniose ma riduttive. Queste specie di uccelli, durante la stagione della cova, mostrano un comportamento di distrazione dei predatori chiamato”simulazione di ferita” (“injury-feigning”): in pratica questi uccelli, quando un potenziale predatore si avvicina al nido, si gettano al suolo con le penne arruffate e le ali scomposte, pigolando rumorosamente e trascinandosi impacciati come se fossero feriti o malati. Questa scena di solito attrae l’attenzione dell’intruso, che comincia a seguire l’uccello allontanandosi cosé dal nido. Questo comportamento si è rivelato flessibile, graduale e contesto-dipendente e perciò particolarmente utile per uno studio controllato della simulazione negli animali. Vediamolo in dettaglio.

La “simulazione di ferita” può essere spiegata in tre modi:

(1) secondo un approccio etologico classico, la simulazione rappresenta uno schema fisso di azione (Fixed Action Pattern, FAP) in cui la situazione-stimolo (l’avvicinamento dell’intruso) scatena invariabilmente l’esibizione di inganno;

(2) secondo un’altra interpretazione, questo comportamento rappresenta una reazione aspecifica a situazioni pericolose e stressanti;

(3) infine è possibile che l’animale comprenda vari aspetti della situazione e si comporti di conseguenza. Carolyn Ristau (1991) ha proceduto alla verifica sperimentale di queste ipotesi alternative.

Un primo risultato di questo studio è che nel 98% dei casi il piviere riusciva effettivamente a condurre l’intruso (lo sperimentatore) lontano dal nido. Si vide che gli uccelli cambiavano posizione e modalità della simulazione in funzione del comportamento dell’intruso. Se per esempio questi non rivolgeva lo sguardo verso l’uccello, oppure non reagiva alla parata, l’animale vocalizzava pió rumorosamente e si trascinava a portata visiva dell’intruso. Già da questi dati, che confermano la flessibilità e la dipendenza dal contesto del “injury-feigning”, si possono escludere l’ipotesi della FAP e quella della reazione aspecifica allo stress. Inoltre, la Ristau dimostrò che gli uccelli discriminavano tra intrusi inoffensivi (mucche che pascolavano nei dintorni del nido) e intrusi pericolosi, esibendo più frequentemente il comportamento verso quegli intrusi che precedentemente si erano realmente rivelati pericolosi.

Questo studio dimostra che gli animali riescono a simulare una realtà falsa ma verosimile allo scopo di ingannare altri individui, e che questa abilità si basa su un’attenta percezione dei risultati della propria azione. E’ evidente che questi risultati non intendono invocare alcuna intenzionalità e/o consapevolezza: al contrario, è probabile che i pivieri non attribuiscano nessun pensiero intelligente agli intrusi, poiché non dimostrano di capire che il fatto di alternare movimenti normali alla simulazione di ferita (come essi fanno quando l’intruso non gli presta attenzione) potrebbe segnalare il trucco ad un osservatore attento ed “intenzionale”, e vanificare così la simulazione.

Un approccio evoluzionistico alla simulazione animale

Al termine di questa rassegna sintetica e per nulla esaustiva sulla simulazione negli animali, dobbiamo limitarci ad alcune considerazioni critiche. Innanzitutto possiamo fare delle ipotesi su quale sia il significato funzionale generale della simulazione, e come questa possa essersi evoluta in molte specie.

Dagli esempi fatti finora, dovrebbe esser evidente che l’individuo che simula ha un vantaggio, in termini di potenziale riproduttivo, rispetto all’individuo ingannato o al conspecifico che non inganna. Le farfalle criptiche che riescono ad evitare la cattura, le femmine di entello o le arvicole che ingannano i propri partner sulla loro paternità, oppure le averle che “gridano al lupo” ottengono, in ultima analisi, di aumentare le proprie probabilità di sopravvivere e/o di riprodursi, consentendo così la perpetuazione del proprio bagaglio genetico.

Questo tipo di ipotesi, che si definisce “adattamentista” perché attribuisce al comportamento animale una funzione di sopravvivenza, riesce anche a spiegare l’origine evolutiva della simulazione nella storia naturale di una specie: infatti, in un’ottica evoluzionistica, quegli individui ancestrali che, per una mutazione genetica casuale, esibivano i rudimenti di certi caratteri morfologici o comportamentali sufficienti per un’efficace simulazione, realizzavano un vantaggio riproduttivo rispetto agli individui sprovvisti di tali adattamenti. Tale vantaggio riproduttivo, a sua volta, perpetuerà il carattere nelle generazioni successive, consentendogli di evolversi. In altre parole, gli antenati delle farfalle B. betularia che casualmente possedevano una colorazione simile alla corteccia della betulla; oppure i progenitori di un’averla particolarmente incline ad emettere richiami d’allarme, e così via, potevano generare più facilmente prole e così aumentare la frequenza di quei geni, nel pool genico della specie, da cui dipendevano i caratteri morfologici o comportamentali vantaggiosi.

Ma non è tutto. Questi esempi di simulazione suggeriscono che qualunque sistema di comunicazione è flessibile, nel senso che consente certi gradi di libertà nella produzione e decodificazione dei segnali. Come si è detto, un sistema di comunicazione prevede un emittente, un segnale ed un ricevente. Fin qui il sistema autentico. Tuttavia abbiamo visto che possono esistere delle smagliature nel sistema, sia da parte dell’emittente (per esempio, la lucciola femmina del genere Photuris) che da parte del ricevente (il maschio di Photinus). Queste imperfezioni, che quando diventano “intenzionali” ci inducono a parlare di simulazione, rappresentano certamente un costo per il sistema di comunicazione, costo imposto dai segnalatori “disonesti”.

Ci si potrebbe chiedere allora perché la selezione naturale abbia consentito l’evoluzione di questi sistemi, visto che non sono a prova di contraffazione. La risposta può essere che, ancora in un’ottica adattamentista, la sopravvivenza di un tale sistema dipende dalla frequenza relativa dei segnalatori legittimi rispetto a quelli illegittimi. E cioè, per rimanere alle nostre lucciole, se il codice luminoso delle specie Photinus fosse davvero così aperto alla simulazione, la selezione naturale avrebbe dovuto favorire il diffondersi di quegli individui sprovvisti di o insensibili a questo sistema di identificazione del partner. In realtà, il sistema sopravvive perché non sempre le femmine Photuris riproducono il codice Photinus per mangiare i maschi di queste specie, così come questi ultimi non cadono invariabilmente vittime delle “femmes fatales”: spesso la simulazione non riesce perché il segnale non è correttamente riprodotto, oppure perché il ricevente non si avvicina alla femmina se non dopo una cauta ispezione.

Questa dinamica interspecifica, detta appunto “selezione dipendente dalla frequenza” mantiene la presenza degli individui segnalatori onesti e dei loro parassiti in un equilibrio vantaggioso per entrambi: ai segnalatori onesti conviene utilizzare quella forma di comunicazione per massimizzare il proprio vantaggio riproduttivo, mentre ai simulatori è possibile un certo grado di parassitismo che non porti allo squilibrio e all’estinzione del sistema comunicativo. Se questa ipotesi è vera, allora possiamo parlare di coevoluzione tra segnalatori onesti e simulatori, e di pressioni che questa coevoluzione potrebbe esercitare sullo sviluppo di sistemi di comunicazione sempre più complessi. Cioè la simulazione potrebbe addirittura avere una sua utilità evolutiva, poiché spingerebbe i segnalatori legittimi ad incrementare sempre più la complessità e la precisione del codice comunicativo per renderlo sempre meno aperto alle contraffazioni dei simulatori.

Bibliografia

Hôlldobler, “Communication between ants and their guests”, Scientific American, 226 (Mar.), 86-95, 1971

S.B. Hrdy, The Langurs of Abu, Harvard Press, Cambridge, MA., 1977

Jeppsson, “Mating by pregnant water voles (Arvicola terrestris): a strategy to counter infanticide by males?” Behavioral Ecology and Sociobiology, 19:293-296, 1986

H.B. Kettlewell, “Selection experiments on industrial melanism in the Lepidoptera”, Heredity, 9:323:343, 1955

J.E. Lloyd, “Firefly communications and deception: ‘Oh, what a tangled web’ ”, in R.W. Mitchell, N.S. Thompson (a cura di) Deception: Perspectives on Human and Non-human Deceit, SUNY Press, Albany, N.Y.1986

C.A. Munn, “Birds that ‘cry wolf’ ”, Nature, 319:143-145, 1986

A.T. Pietrewicz, A.C. Kamil, “Visual detection of cryptic prey by blue jays (Cyanocitta cristata)” Science, 195:580-582,1977

C.A. Ristau, “Aspects of cognitive ethology of an injury feigning plover”, in C.A. Ristau, (a cura di) Cognitive Ethology: the minds of other animals, Erlbaum, Hillsdale, NJ 1991W. Wickler, Mimicry in Plants and Animals, World Univeristy Library, Londra 1968

Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana, XI Edizione, M. Dogliotti, L. Rosiello (a cura di), Zanichelli, Bologna 1988

 

 

Al prossimo articolo.

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Pubblicato da Gianluca Doremi

Durante la mia infanzia ho sviluppato e manifestato la passione per il "piccolo mondo" che mi ha portato alla scoperta della natura con l'entusiasmo che solo un bambino può avere. Con l'età adulta ho alimentato ulteriormente questa mia passione implementandola con l'ausilio della fotografia e dei video. Alle immagini ora ho aggiunto lo studio e la ricerca su questo fantastico mondo.

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